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ALBA E LE LANGHE

La cittadina arroccata in un’ansa del Tanaro ha senz’altro una fama maggiore delle proprie dimensioni: appena trentamila abitanti, una sorta di grande salotto in cui tutti si conoscono, con una mission quasi solo consacrata al buon vivere e al far vivere bene gli altri, almeno per qualche giorno. Una città bianca come richiama il suo nome, cooptato dai Romani dalla radice ligure/celtica alb=acqua, ma così simile al latino albus=bianco ma pure imbiancato, propizio, luminoso, sereno da cui poi deriva la parola italiana alba, intesa proprio come il sorgere del sole. Ma pure una città rossa, di porfido, coppi e mattoni, così medioevali e così piemontesi. Inevitabile che l’albese Fenoglio metta negli occhi di Agostino -povero servo colpito da malora- questa visione: “Mi stampai nella testa i campanili e le torri e lo spesso delle case, e poi il ponte e il fiume, la più gran acqua che io abbia mai vista…”. Alba ancora fa la stessa impressione a chi scende dalle Langhe verso la sua Capitale, sempre lì con i suoi mercati, i suoi negozi eleganti, i caffè, le pasticcerie, le campane delle tante chiese; già le chiese…perché Alba è bianca anche di preti e monache, con una Diocesi antica che si allunga sulle mille colline in un abbraccio protettivo (il vescovo Luigi Maria Grassi fu un protagonista della Resistenza) ma è pure rossa di partigiani e pensatori (medaglia d’oro, nel 1944 si liberò per 23 giorni, come racconta sempre Beppe Fenoglio, scrittore di razza che tra i suoi professori al Govone ebbe Pietro Chiodi).

 

Negli ultimi anni, le Langhe e il Roero, territori collinari che si estendono intorno ad Alba, sono stati scoperti o riscoperti alla luce di una tradizione di cordialità, buona tavola e bellezze naturalistiche.

 

In questi luoghi non vi è una meta in particolare che si offra come punto di partenza privilegiato o di arrivo. Girovagare, in questa sorta di piccolo mondo antico, significa percorrere pochi chilometri tra un paese e l’altro, fermarsi a discorrere con la gente, entrare in una trattoria per un’ospitalità familiare e casereccia che resterà impressa nel ricordo. La scorza dell’anima contadina, a volte ruvida agli occhi del cittadino, dischiude, al turista che sappia capire, ricchezze di un’umanità che nella fretta urbana si sono perse. 

 

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